Esiste ancora il Made In Italy?

 

È di recente iniziativa della neo eletta Presidente del Consiglio Giorgia Meloni quella di costituire un liceo del Made In Italy. Lungi dall’esporsi in commenti politici, cerchiamo di capire cosa si celi dietro a questo marchio, tanto glorificato nel Bel Paese, che richiama valori di qualità, tradizione e territorialità.

 

La normativa definisce il “Made In” come marchio d’origine, stando ad indicare il luogo di produzione del prodotto, inteso tuttavia come ultima trasformazione o trasformazione sostanziale (art.60 CDU).

 

Cosa significa? 

Che i processi produttivi possono anche essere realizzati altrove, l’importante è che sia ideato e finito in Italia. Ciò comporta inevitabilmente una svalutazione delle connessioni manifatturiere che hanno da sempre garantito il prestigio della migliore artigianalità. 

Il marchio Made In Italy è ancora tra i più forti nel mercato globale, ma è culturalmente diluito da imitazioni e stereotipi. Pensiamo inoltre a molti brand di moda, che si ergono a portavoce del Made In Italy nonostante le aziende vengano acquisite dai grandi gruppi esteri e producano considerevolmente fuori dall’Italia. In tal caso cambia radicalmente la cultura aziendale: è ancora lecito considerarsi promotori dell’identità italiana?

 

Occorre necessariamente rinegoziare i valori che costituiscono il Made In Italy, aggiornandoli alla modernità. Un approccio etico, nel rispetto dei lavoratori e dell’ambiente, ne garantirebbe un balzo evolutivo. In aggiunta, non per forza deve essere la manualità l’elemento cardine, ricerca e innovazione in processi e materiali sono ad oggi elementi chiave.